Parodontologia

Di che si occupa la parodontologia?

Di studiare e combattere una malattia subdola ma deleteria per la salute di tutta la bocca e dello stesso benessere generale, detta parodontite perché colpisce il parodonto, cioè tutti quei tessuti che circondano e sostengono il dente:

  • la gengiva, che riveste e protegge tutti i tessuti
  • il cemento, che riveste la radice del dente
  • il legamento parodontale, che àncora il dente all’osso
  • l’osso alveolare, che accoglie la radice.

 

In che senso si può definire una malattia subdola?

Perché il suo decorso, nella forma più comune, spesso non si manifesta con sintomi o segni evidenti o fastidiosi e il paziente non si allarma e non cerca un parere dall’odontoiatra. Questo è un esempio evidente dell’importanza di sottoporsi a periodiche e regolari visite di controllo, perché solo una terapia precoce può evitare danni irreparabili o addirittura mantenere la dentatura intatta.

 

 

Dopo quanto tempo si manifestano i primi segni?

A parte alcune forme precoci (addirittura nei denti da latte!) e particolarmente aggressive, ma fortunatamente rare, che allarmano il paziente perché pur con scarsa infiammazione delle gengive alcuni denti cominciano ad avere una certa mobilità e dolore alla masticazione, in genere la malattia parodontale dell’adulto è piuttosto lenta, comincia in età giovanile ma non causa i primi fastidi soggettivi prima dei 30/40 anni o più tardi ancora: ma già i primi danni sono in atto e non sempre si possono rimediare.

 

Come faccio allora ad accorgermene in tempo?

Tutto comincia con un’infiammazione gengivale, superficiale e reversibile: le gengive sono arrossate, gonfie, più molli, sanguinano con stimoli banali come il semplice spazzolamento dei denti

o con cibi duri: tutti segnali di allarme che dovrebbero indurre a consultare un dentista.

 

Non basterebbe usare un collutorio?

Sarebbe comodo, ma purtroppo i collutori non sostituiscono una corretta tecnica di spazzolamento dei denti né tanto meno possono sostituire il dentista. Tuttavia alcune tipologie di collutori, quelli comunemente definiti da banco e presenti anche nei supermercati, possono essere utili come aiuti per la prevenzione della parodontite e della carie dentaria.

I collutori che hanno una più potente azione antibatterica parodontale richiedono una prescrizione medica, ma possono essere utilizzati per brevi periodi legati alla impossibilità di praticare le normali tecniche di spazzolamento dei denti, come dopo un intervento di chirurgia orale, perché possono avere effetti collaterali dannosi per lunghi periodi.

 

Allora si tratta di una malattia batterica, un’infezione?

La causa diretta sono i batteri (alcuni più di altri), presenti in bocca che, ricordiamo, non è (e non deve essere) sterile. Nel caso della parodontite aggressiva i batteri responsabili hanno nome e cognome e si possono anche identificare, anche se basta l’esperienza del dentista scrupoloso per fare la diagnosi.

 

Se la causa diretta sono i batteri non si può curare la parodontite con gli antibiotici?

No, perché l’antibiotico viene trasportato dal sangue e il sangue non raggiunge né il cavo orale né tanto meno la superficie del dente e della radice dove i batteri si depositano e si sviluppano, formando la placca batterica, un aggregato di batteri legati tra loro e tenacemente adesi alla superficie dentale. Gli antibiotici possono essere utilizzati nella terapia di particolari forme rare di malattia parodontale come strumento terapeutico aggiuntivo.

 

Quindi, se non mi posso aiutare né con collutori né con farmaci, la cura è tutta a carico del dentista?

No, solo in parte. Come spesso in medicina, è il rapporto terapeutico di collaborazione fra medico e paziente che permette di ottenere un valido risultato. Il dentista e l’igienista possono rimuovere il tartaro, l’accumulo calcificato di placca batterica, e fare anche altro di cui parleremo, ma la rimozione quotidiana della placca attraverso un’accurata pulizia dei denti è compito del paziente che deve imparare le tecniche corrette e impegnarsi costantemente.

Ma il paziente può anche fare di più, in relazione al fatto che si tratta di una malattia che ha bisogno di altri fattori per svilupparsi, i batteri da soli non bastano, come si evince facilmente dal fatto che alcune persone – la maggioranza – non sviluppano la parodontite anche se sono un po’ trascurati e lasciano accumulare placca e tartaro in quantità.

 

Quali sono questi altri fattori?

Il primo è la familiarità: è una predisposizione individuale basata su uno specifico deficit immunitario che fa sì che la risposta immunitaria contro i batteri, normalmente sufficiente a contrastarli, sia invece inefficace e addirittura dannosa perché sviluppa un’infiammazione cronica e dannosa per gli stessi tessuti dell’organismo, che lentamente si autodistruggono permettendo alla placca batterica di avanzare approfondendosi lungo la radice del dente fino a demolire l’osso di sostegno e quindi a far vacillare il dente e a farlo perdere.

Questa predisposizione non è modificabile da nessuno, ma il paziente può notarla in famiglia e parlarne il prima possibile con il suo dentista, per una terapia precoce.

 

Ce ne sono altri?

Sì, condizioni patologiche come il diabete o fisiologiche come la gravidanza o la menopausa, durante le quali, per il maggiore rischio di infiammazione gengivale a cause di squilibri ormonali, i controlli di igiene orale dovranno essere ancora più frequenti. Viceversa si sono notate correlazioni positive tra il successo della terapia  parodontale e i valori della glicemia nei pazienti diabetici.

Ma anche abitudini come il fumo rendono più grave la parodontite, oltre a favorire l’accumulo di placca batterica intorno ai denti attraverso le macchie da fumo.

Esistono poi alcuni farmaci che possono agire come agenti causali di alterazioni a livello dei tessuti parodontali. In caso di alterazioni gengivali è consigliato informare lo specialista dell’assunzione di farmaci per altre patologie sistemiche.

Non esistono, invece, prove di correlazioni dirette fra il tipo di alimentazione e la parodontite.


Al contrario, quali sono le conseguenze negative della parodontite?

Le maggiori sono, ovviamente a carico dei denti e della bocca: alito cattivo, gengive arrossate e sanguinanti, possibili ascessi, ipersensibilità termica dovuta alla scopertura delle radici dei denti, problemi estetici per i cosiddetti “denti lunghi”, cioè con radici scoperte, e denti inclinati per una mobilità dentaria sempre più accentuata e fastidiosa fino alla perdita del dente, ma anche difficoltà alla sostituzione dei denti mancanti perché i denti vicini non sarebbero più in grado di sostenere un ponte.

 

Il paziente con la parodontite può sottoporsi alla terapia implantare?

Solo dopo che la malattia sia stata correttamente trattata e debellata, altrimenti i batteri attaccheranno anche gli impianti, facendoli cadere molto più rapidamente dei denti.

 

E sull’organismo?

Negli ultimi anni si è riscontrato un maggior rischio di parto prematuro con neonato sottopeso. Ma i batteri possono entrare nel circolo ematico ed agire come fattori aggravanti di alcune malattie cardiache, come le malattie coronariche o le endocarditi infettive.

 

Come si fa la diagnosi?

Bisogna diffidare da chi fa diagnosi solo sulla base delle radiografie, che sono certo importanti, ma lo strumento principe è sempre la sonda parodontale, con cui il parodontologo misura le eventuali tasche, cioè il distacco della gengiva dalla radice del dente, il sanguinamento, il pus, la placca e il tartaro sottogengivali, carie, eventuali otturazioni o protesi mal fatte che possono aver creato angoli non spazzolabili.

 

Esiste una terapia risolutiva?

E’ irrinunciabile imparare una corretta tecnica di pulizia dei denti, che l’igienista insegnerà al paziente in modo personalizzato, con tutti gli strumenti utili (spazzolini, filo interdentale, scovolini, eventuali collutori).

Seguirà poi la rimozione professionale del tartaro con strumenti manuali o ultrasonici, da ripetere con una frequenza personalizzata, visita durante la quale si controllerà comunque sempre anche la capacità acquisita dal paziente nella pulizia, che significa non permettere il nuovo accumulo di placca. Anche la progressiva guarigione delle gengive verrà monitorata. Andranno affrontate anche quelle condizioni extraorali (es. diabete, fumo) che peggiorano l’andamento della malattia. Se necessario, a questo punto si può procedere anche a una pulizia chirurgica nelle tasche più profonde, con interventi che prevedono l’apertura delle gengive e una pulizia più accurata. Con il paziente si discuterà poi dell’opportunità di estrarre denti oramai senza speranza e di come sostituirli.

 

Ma i danni all’osso possono essere riparati?

Solo in certi casi e non sempre completamente. Un esperto parodontologo è il curante più adatto ad illustrare tutte le possibilità restaurative chirurgiche, con indicazioni e controindicazioni, dei danni che hanno ricevuto i tessuti di supporto dei denti e l’estetica del paziente, ma solo dopo che si saranno superate tutte le tappe su descritte, cioè quando la malattia parodontale sia stata debellata e il paziente si sia dimostrato in grado di controllare la placca e gli altri fattori causali.

 

La parodontite non è quindi più una malattia incurabile?

No, di certo la dentiera non è più il destino ineludibile del malato di parodontite come quando la si chiamava ancora piorrea, purché si instauri un patto terapeutico fra odontoiatra e paziente dove ciascuno faccia la sua parte, si abbia la costanza di seguire il percorso terapeutico anche per anni e si abbia la forza di cambiare le proprie abitudini negative.

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